martedì 27 ottobre 2009

Recensione Appia Road - a cura di J. Nicolò

Riceviamo e pubblichiamo la recensione dell'album Appia Road, a cura del noto mastro critico di vita, Jean Nicolò.

Jean Nicolò e la sua passione per i copricapi

Raramente abbiamo la fortuna di assistere a nuove sperimentazioni musicali che ampliano il perimetro percettivo nel quale la realtà viene manifestandosi e che permettono l'identificazione di un repentino cambiamento d'umore in uno scenario caratterizzato dall'abbondante perseveranza di sterili aforismi. Il nuovo lavoro dei T.U.P.D.V. ne rappresenta un esempio paradigmatico, seppure la cultura dell'alienazione si rifletta in esso con la preminenza di un fattore potestativo. L'immediato e pungente sarcasmo nasce spesso da improvvisazioni reiterate e prive di direzione alcuna che manifestano l'abbacinante, immutabile e assoluta libertà espressiva. La loro musica non ha profilo definito né scopo, neppure è possibile identificarlo nella pura ricerca del piacere. I T.U.P.D.V. danno l'impressione di fare musica per dimenticarsi di averla fatta, e ricominciare. Padroni di una musica che non soffre orgasmi, né provoca nostalgie, di una musica che mi piacerebbe definire metafisica, i T.U.P.D.V. sembrano adoperarla per esplorare ed esplorarsi, perseguendo quella dimensione che assume la pretesa, forse illusoriamente, di individuare le vene profonde della più aperta e spregiudicata identità. L'irriverenza cessa di rappresentare la fuga dall'esistente, e percorre, trasversale, la cultura della scoperta e della disillusione, per approdare naufraga nei territori limitrofi dell'egemonia della vitalità e della sofferenza umana. L'apparente cinismo rivela la distanza dalle convenzioni e dalle ipocrisie, delle quali, pure ne denuncia le impercettibili aberrazioni sociali. Nei T.U.P.D.V. non c'è la minima grandezza, e appena si ha la possibilità di accorgersene, si comincia ad ammirarli. Si pongono culturalmente antitetici rispetto alle ambizioni meschine di chi non ammette diritto di cittadinanza per le debolezze umane o per i luoghi fuori moda, e ci restituiscono un'umanità disincantata e , se vogliamo, più vera. Nella loro raccolta iconografica vengono irretite figure reali e immaginarie cui spetta la ricomposizione di un immaginario individuale e collettivo minuziosamente frantumato contro il muro della supponenza e della distrazione. Sembrano riproporre, in musica, l'arte della dagherrotipia senza alcuna pretesa apologetica se non quella di restare fedeli all'immagine corrosa e furtivamente catalogata nella memoria e rispetto alla quale assumono la posizione che spetta a chi decide di evitare illegittime sovrapposizioni. In una contemporaneità colma delle più vane e folli pretese ed esigenze, sembrano definire, consapevoli, le tracce di un interrogativo esiziale rispetto alle quotidiane e misere rassegnazioni. Sembrano domandarci brechtianamente ed in ultima istanza : “Dove ce ne andiamo noi, se il mondo diventa dimora di eroi?”. Sembrano cioè lanciare oggi uno straordinario epitaffio per le generazioni future ….. lodevole tentativo, per quanto si possa non amare epitaffio alcuno.

2 commenti:

DoTheSka aka DudeSky ha detto...

Questa recensione mi riempie di orgoglio e felicità, pur ammettendo di aver capito il significato solo dopo 15 letture (e dopo aver consultato il mio legale di fiducia). Grazie ancora, Jean Nicolò, ti invito a farti vivo più spesso su queste pagine, visto che il talento letterario di IndiaNapoliS ultimamente è latitante e abbiamo sempre bisogno di nuovi mondi da esplorare.

Pat Condicio ha detto...

Carissimo, la tua recensione mi affascina ogni volta che la rileggo! Tu hai veramente capito il T.U.P.D.V.P. come pochi!